Al bancone del bar, la richiesta è sempre la stessa: «Vorrei un decaffeinato, ho il colesterolo alto». È una scena comune in molte città italiane, dove il caffè resta rito quotidiano ma la salute cardiovascolare è un tema centrale nelle scelte alimentari. La domanda che si ripete riguarda il legame tra la tazzina e i livelli di lipidi nel sangue: il caffè può davvero modificare il profilo lipidico, e il caffè decaffeinato è davvero una scelta più sicura per chi ha il colesterolo alto? In questo approfondimento proviamo a mettere ordine tra composti, metodi di preparazione e studi scientifici, cercando risposte pratiche e rilevanti per chi vive in Italia e in altre realtà europee.
Il nesso tra caffè e colesterolo
La relazione tra caffè e colesterolo passa per la chimica della bevanda. Nel caffè sono presenti i diterpeni, sostanze come cafestolo e kahweol che, secondo numerose ricerche, possono aumentare i livelli di colesterolo LDL. Tuttavia, l’effetto non è uniforme: dipende molto dal metodo di preparazione. Il caffè non filtrato, tipico di presse francesi o caffè turchi, trattiene una quota maggiore di questi composti rispetto al caffè filtrato o all’espresso.

Studi osservazionali e sperimentali hanno evidenziato che consumi elevati e prolungati di caffè non filtrato tendono a innalzare il colesterolo totale e l’LDL in alcuni soggetti. Al tempo stesso, la maggior parte delle analisi interpreta il consumo moderato di caffè filtrato come a basso rischio per la maggior parte della popolazione. Un dettaglio che molti sottovalutano è la variabilità individuale: genetica, alimentazione e stile di vita incidono sulla risposta metabolica al caffè.
In pratica, chi in Italia fa uso regolare di moka o filtri a goccia è meno esposto ai diterpeni rispetto a chi predilige preparazioni non filtrate. I medici e i tecnici del settore lo raccontano spesso: non è solo la quantità di caffè, ma anche come lo si prepara e cosa si mangia durante il giorno a determinare il rischio cardiovascolare.
Caffè decaffeinato: produzione, effetti e consigli pratici
Il caffè decaffeinato nasce per ridurre la caffeina presente nei chicchi, ma il processo può influire anche su altri componenti. Esistono metodi con solventi, processi con anidride carbonica e trattamenti all’acqua: tutti tendono a rimuovere la caffeina lasciando buona parte degli aromi. In genere rimane circa l’1-2% di caffeina residua, ma la quota di cafestolo e kahweol può risultare inferiore rispetto al caffè non decaffeinato, specialmente quando si usano processi che estraggono anche oli e composti lipofili.
La letteratura suggerisce che il consumo di caffè decaffeinato non si associa, in modo consistente, a un aumento significativo del colesterolo LDL nella maggior parte dei soggetti. Ricerche condotte su gruppi diversi mostrano risultati promettenti, pur con differenze individuali. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che il decaffeinato conserva molti antiossidanti del caffè tradizionale, elementi utili per contrastare lo stress ossidativo che contribuisce alla malattia vascolare.
Per chi ha preoccupazioni cardiovascolari, ecco cosa vale nella pratica: preferire metodi di estrazione che riducono i diterpeni (filtri di carta o macchine espresso ben manutenzionate), limitare zuccheri e panna che aumentano calorie e rischi metabolici, e consumare caffè con moderazione. Consultare un medico o un nutrizionista resta fondamentale quando ci sono condizioni preesistenti. Molti pazienti in regioni del Nord Italia hanno già adottato il decaffeinato come scelta quotidiana, osservando miglioramenti nel profilo lipidico insieme a cambiamenti della dieta: è una tendenza che parla di cautela e di un approccio complessivo alla salute.
